domenica 18 giugno 2017

Una giornata di una giovanissima burolese in carcere...


"Il vuoto può essere immenso"

https://www.cronacaqui.it/wp-content/uploads/2017/06/carcere-ivrea.jpgQualche settimana fa sono andata a cantare in carcere per la presentazione di un libro, “Il vuoto può essere immenso”: una raccolta di poesie scritte da Manuel Baudino nel momento peggiore della sua vita. Vita che è durata ben poco, e si è conclusa in modo tragicamente semplice: Manuel è morto di overdose in un vicolo, da solo, appena un paio di mesi dopo essere uscito di prigione, appena un paio di mesi dopo aver provato a disintossicarsi, appena un paio di mesi dopo aver deciso di ricominciare. Sua madre e sua sorella hanno scoperto le sue poesie e hanno contattato la mia professoressa di italiano delle medie, e se n’è fatto un libro.
Eravamo un gruppo scombinato -le parenti di Manuel, la mia ex prof, tre ragazzi musicisti come me e una signora chiamata per leggere le poesie - e soprattutto noi ragazzi ci siamo ritrovati catapultati nella situazione senza conoscerla molto. A dir la verità quello che sapevo io all’inizio era che avrei dovuto cantare, e tanto mi bastava, ma poi l’esperienza si è dimostrata essere davvero molto di più.
C’erano carcerati lì nel salone, è vero, ma non li ho visti. Potrei sembrare banale, ma ho visto delle persone, e nei giorni successivi mi ha fatto quasi male notare come, per molti, questa non fosse una cosa scontata. Comicamente, la reazione che mi ha colpito di più è stata quella di una bambina di circa otto anni ad un altro spettacolo di qualche sera dopo. Il discorso del carcere in qualche modo è uscito mentre lei era presente, e il suo visino da bambolina ha assunto un’espressione sullo schifato-contrariato, prima di dire: “Non avreste dovuto andare a cantare, loro hanno fatto delle cose brutte e non si meritano più niente.”
Io l’ho guardata e ho risposto semplicemente “È più complicato di così”, ma avrei voluto spiegarle tante cose. Avrei voluto che vedesse tante cose.

https://emporiocircolare.files.wordpress.com/2013/10/papillon-movie.jpgAd esempio quell’uomo gracile con gli occhialini che somigliava quasi a Louis Dega di Papillon e che teneva il tempo di ogni canzone battendo le dita sulla gamba, ad occhi chiusi.
O quel ragazzo tatuato che non si risparmiava i “porca putt…” entusiasti ad ogni pezzo di fisarmonica, e si girava in continuazione a sorridere ad un altro uomo mimando con le labbra: “Sono bravi!”
O quella donna in t-shirt verde fluorescente che ha applaudito entusiasta dopo ogni poesia e sul finale di Green eyes dei Coldplay.
O il momento in cui mi hanno vista dire Buon compleanno al mio amico chitarrista e si sono messi tutti a cantare “Tanti auguri a te”, con lui che sorrideva tra l’imbarazzo e la spettacolarità della scena.
Oppure la luce negli occhi dell’uomo che mi ha chiesto il microfono, alla fine, e accompagnato da due accordi al pianoforte e incoraggiato dagli altri presenti ha cantato la sua canzone preferita di Vasco.
Ho un po’ sorriso e un po’ pianto mentre le poesie di Manuel scorrevano e scorrevano, perché in ogni sua poesia era presente la solitudine, una solitudine che mi sono ritrovata –e ho ringraziato per questo- a non capire. Una solitudine che ho notato nei volti di tutte quelle persone che hanno trovato così speciale una cosa per me così quotidiana: ascoltare dei ragazzi venuti “dalla libertà” che suonano, trascorrere una giornata a sentire la musica. Perché, citando Manuel un’ultima volta, “in prigione il problema non è far passare un anno o un mese, è la giornata che non passa mai”.
Credo che molti non abbiano idea dell’ambiente che c’è all’interno di quelle quattro mura che io stessa ho ignorato parecchie volte, passandoci davanti in auto, e ovviamente non dico di essere un’esperta, adesso, ma posso essere convinta che non ci sia abbastanza contatto tra “la libertà” e i carcerati là dentro.
Le persone, là dentro.
Serena




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