lunedì 16 aprile 2018

Il caso Facebook- Cambridge Analytica

Facebook, il leader dei Social Network, è nell’occhio del ciclone per due fenomeni che riguardano il cuore delle sue attività: l’utilizzo irregolare di suoi dati per campagne politiche aggressive e fraudolente e la scarsa tutela prestata alla protezione dei dati sensibili degli utenti.
Si tratta di due questioni di fondo per la vita democratica, nell’epoca di internet e dello strapotere delle aziende moderne informatiche, di cui Facebook è solo un campione esemplare. Pertanto, la discussione di questo caso e il come sarà risolto ci diranno molto sulla nostra libertà nel futuro delle nostre democrazie.
Il 16 marzo di quest’anno 2018, Facebook effettua una dichiarazione inaspettata, rivelando la sospensione dei suoi rapporti con la società inglese Cambridge Analytica, una società di analisi dati con fini politici, e con due psicologi con cui Facebook operava. Questa società è accusata di aver fraudolentemente utilizzato cinquanta milioni di dati anagrafici di utenti Facebook per le sue attività di consulenza elettorale (in seguito Facebook preciserà che i dati utilizzati fraudolentemente sono circa ottantaquattro milioni). Facebook, congiuntamente, riafferma con forza le proprie politiche di protezione dei dati degli utenti e le necessarie iniziative che verranno intraprese per rafforzare la loro tutela.
I fronti di guerra aperti con tale dichiarazione sono due: il primo implica le indebite intrusioni delle attività di Cambridge Anlityca nelle ultime elezioni Usa, a danno di Hillary Clinton, nonché nella Brexit, intrusioni avvenute tramite l’utilizzazione di dati Facebook. Ovviamente, il secondo fronte è costituito dal tema della sicurezza e della protezione dei dati dei suoi utenti.
Cambridge Analytica ha acquisito i dati e le procedure di talune ricerche psicologiche autorizzate da Facebook per scopi accademici, circa la possibilità di profilare le caratteristiche degli utenti analizzando le loro reti degli “Amici” e le loro preferenze (i “ mi piace”). I volumi dei dati coinvolti sono stati fraudolentemente estesi dal piccolo campione accademico alle decine di milioni realmente impiegati e questi dati sono stati inoltre utilizzati per i fini politici non autorizzati. La profilazione degli utenti è stata utilizzata per un marketing politico molto mirato. La campagna contro la Clinton è stata poi orchestrata per Cambridge Analytica da Steve Bannon, consigliere e stratega di Trump, il quale ha utilizzato in tale campagna fake news, informazioni scorrette e disinformazioni, lanciate anche attraverso canali internet non individuabili. Questa attività è ora oggetto delle interrogazioni politiche nelle varie sedi istituzionali.
Facebook ha preso la distanza da queste metodologie scorrette anche con un proprio rapporto interno dell’aprile 2017, in cui esamina la casistica di queste pratiche e indica come intende lavorare per prevenirle.
Per capire meglio come Facebook abbia perso il controllo su queste attività improprie, occorre conoscere un po’ meglio come funziona Facebook e la sua politica di sviluppo.
Facebook nasce nel 2004 e riscuote con la sua politica della connessione tra i suoi utenti un successo strepitoso. Nel luglio 2017, in Borsa, l'azienda supera un valore totale di mercato di 500 miliardi di dollari.
Oggi gli utenti di Facebook raggiungono i due miliardi nel mondo. Le anagrafi degli utenti sono connesse dai due reticoli degli “amici” e delle preferenze manifestate dagli utenti stessi. Si tratta di 100 miliardi di Amicizie, di 250 milioni di foto caricate al giorno, di circa 3 miliardi di “mi piace” o commenti caricati quotidianamente. Attualmente il centro dati di Facebook conta più di 100 pentabytes di foto e video.
Per facilitare queste connessioni e per ampliare i servizi da offrire agli utenti, Facebook ha esteso l’accesso ai suoi dati a molti sviluppatori terzi, che hanno creato molteplici applicazioni d’interesse degli utenti. Ad esempio, Facebook consentiva di caricare nelle anagrafi i numeri di telefono o gli indirizzi email degli utenti stessi. Altre applicazioni informavano gli utenti degli Eventi di loro interesse. Le iniziative di profilazione psicologica facevano parte anche di tale politica.
Non si è badato molto a verificare se tali applicazioni utilizzassero i dati degli utenti con il loro consenso o meno e, man mano, si è perso il governo del fenomeno, poiché anche il controllo di tale attività è stato assai scarso se non inesistente. Già nel 2010 ricercatori della Penn State University avevano registrato che solo 148 delle 1800 principali app usate su Facebook chiedevano il permesso per l’accesso ai dati degli Amici di chi le usava.
Oggi lo stesso Zuckerberg si è pentito: "Credo davvero che all'inizio avessimo questa visione molto idealista su come la portabilità dei dati avrebbe consentito una serie di nuove esperienze", ha confessato a Wired nelle scorse ore, "ma credo che il feedback ricevuto oggi dalla nostra community e dal mondo sia che la privacy e la sicurezza dei dati siano più importanti di rendere semplice l’utilizzare più dati e avere tipi di esperienze diverse". La consapevolezza, cioè, che si è trattato non di un "data breach", ma di un "breach of trust": non una violazione informatica, ma della fiducia degli utenti.
Giovanni de Witt

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