Facebook,
il leader dei Social Network, è nell’occhio del ciclone per due
fenomeni che riguardano il cuore delle sue attività: l’utilizzo
irregolare di suoi dati per campagne politiche aggressive e
fraudolente e la scarsa tutela prestata alla protezione dei dati
sensibili degli utenti.

Il
16 marzo di quest’anno 2018, Facebook effettua una dichiarazione
inaspettata, rivelando la sospensione dei suoi rapporti con la
società inglese Cambridge Analytica, una società di analisi dati
con fini politici, e con due psicologi con cui Facebook operava.
Questa società è accusata di aver fraudolentemente utilizzato
cinquanta milioni di dati anagrafici di utenti Facebook per le sue
attività di consulenza elettorale (in seguito Facebook preciserà
che i dati utilizzati fraudolentemente sono circa ottantaquattro
milioni). Facebook, congiuntamente, riafferma con forza le proprie
politiche di protezione dei dati degli utenti e le necessarie
iniziative che verranno intraprese per rafforzare la loro tutela.
I
fronti di guerra aperti con tale dichiarazione sono due: il primo
implica le indebite intrusioni delle attività di Cambridge Anlityca
nelle ultime elezioni Usa, a danno di Hillary Clinton, nonché nella
Brexit, intrusioni avvenute tramite l’utilizzazione di dati
Facebook. Ovviamente, il secondo fronte è costituito dal tema della
sicurezza e della protezione dei dati dei suoi utenti.
Cambridge
Analytica ha acquisito i dati e le procedure di talune ricerche
psicologiche autorizzate da Facebook per scopi accademici, circa la
possibilità di profilare le caratteristiche degli utenti analizzando
le loro reti degli “Amici”
e le loro preferenze (i “
mi piace”).
I volumi dei dati coinvolti sono stati fraudolentemente estesi dal
piccolo campione accademico alle decine di milioni realmente
impiegati e questi dati sono stati inoltre utilizzati per i fini
politici non autorizzati. La profilazione degli utenti è stata
utilizzata per un marketing politico molto mirato. La campagna contro
la Clinton è stata poi orchestrata per Cambridge Analytica da Steve
Bannon, consigliere e stratega di Trump, il quale ha utilizzato in
tale campagna fake
news,
informazioni scorrette e disinformazioni, lanciate anche attraverso
canali internet non individuabili. Questa attività è ora oggetto
delle interrogazioni politiche nelle varie sedi istituzionali.
Facebook
ha preso la distanza da queste metodologie scorrette anche con un
proprio rapporto interno dell’aprile 2017, in cui esamina la
casistica di queste pratiche e indica come intende lavorare per
prevenirle.
Per
capire meglio come Facebook abbia perso il controllo su queste
attività improprie, occorre conoscere un po’ meglio come funziona
Facebook e la sua politica di sviluppo.
Facebook
nasce nel 2004 e riscuote con la sua politica della connessione tra i
suoi utenti un successo strepitoso. Nel
luglio 2017, in Borsa, l'azienda supera un valore totale di mercato
di 500 miliardi di dollari.
Oggi
gli utenti di Facebook raggiungono i due miliardi nel mondo. Le
anagrafi degli utenti sono connesse dai due reticoli degli “amici”
e delle preferenze manifestate dagli utenti stessi. Si tratta di 100
miliardi di Amicizie, di 250 milioni di foto caricate al giorno, di
circa 3 miliardi di “mi
piace”
o commenti caricati quotidianamente. Attualmente
il centro dati di Facebook conta più di 100 pentabytes di foto e
video.
Per
facilitare queste connessioni e per ampliare i servizi da offrire
agli utenti, Facebook ha esteso l’accesso ai suoi dati a molti
sviluppatori terzi, che hanno creato molteplici applicazioni
d’interesse degli utenti. Ad esempio, Facebook consentiva di
caricare nelle anagrafi i numeri di telefono o gli indirizzi email
degli utenti stessi. Altre applicazioni informavano gli utenti degli
Eventi di loro interesse. Le iniziative di profilazione psicologica
facevano parte anche di tale politica.
Non
si è badato molto a verificare se tali applicazioni utilizzassero i
dati degli utenti con il loro consenso o meno e, man mano, si è
perso il governo del fenomeno, poiché anche il controllo di tale
attività è stato assai scarso se non inesistente.
Già nel 2010 ricercatori della Penn State University avevano
registrato che solo 148 delle 1800 principali app usate su Facebook
chiedevano il permesso per l’accesso ai dati degli Amici di chi le
usava.
Oggi
lo stesso Zuckerberg si è pentito: "Credo
davvero che all'inizio avessimo questa visione molto idealista su
come la portabilità dei dati avrebbe consentito una serie di nuove
esperienze",
ha confessato a Wired nelle scorse ore, "ma
credo che il feedback ricevuto oggi dalla nostra community e dal
mondo sia che la privacy e la sicurezza dei dati siano più
importanti di rendere semplice l’utilizzare più dati e avere tipi
di esperienze diverse".
La consapevolezza, cioè, che si è trattato non di un "data
breach", ma di un "breach of trust": non una
violazione informatica, ma della fiducia degli utenti.
Giovanni de Witt
Nessun commento:
Posta un commento
I commenti non vengono automaticamente pubblicati, ma sono moderati dalla redazione, che censurerà parole offensive e insulti, ripetizioni inutili E MESSAGGI NON FIRMATI