martedì 25 aprile 2017

Parliamo di migranti


Il trattato di Dublino, in vigore dal 1997, ha avuto l'ultima revisione nel 2013. Il testo a tutela degli immigrati, garantisce il diritto di assistenza e soggiorno ai richiedenti asilo e a quelli cosiddetti “irregolari” e senza documenti. In base a questo accordo la responsabilità dell'asilo è attribuita per due anni al paese di primo sbarco. I paesi che si affacciano sul Meditarraneo vogliono ridiscutere questo punto, perché ritenuto ingiusto e penalizzante nei loro confronti.
Non sarà facile creare una nuova normativa, né sul piano tecnico, né su quello politico, si dovrà anche trovare il modo di distribuire equamente i migranti. La mancanza di una posizione unitaria dell'Europa stà creando seri problemi. L'Italia è soggetta al rispetto di questo e di altri accordi sottoscritti con l'Unione Europea. Vi sono quindi dei vincoli che devono essere rispettati. Intervengono poi una serie di norme e strumenti che nella gestione variano da uno stato all'altro.
Non voglio adesso aprire una discussione nel merito di questo capitolo.
Vorrei invece riflettere sul modo in cui noi ci avviciniamo a questo tema, perché se manca questa disponibilità è pressocchè inutile discutere di tutto il resto.
Spesso dimentichiamo che quando si parla di migranti, si parla di persone, di individui, di famiglie, di bambini, che fuggono da situazioni disperate.
Si ha la tendenza a osservare la cosa da lontano, con distacco, come se stessimo guardando un paesaggio dall'alto di un colle. Se ci avviciniamo cominciamo a vedere in modo più nitido i particolari, i contorni sono più definiti, e familiarizziamo con le varie forme che componevano quel generico paesaggio. Si crea insomma un rapporto più intimo con ciò che vediamo. Succede anche quando si dipinge o si disegna. Cambia allora la prospettiva e il nostro modo di vedere dal punto di vista emotivo.
Proviamo ad avvicinarci ad un emigrato, evitando di guardarlo con sospetto e timore, lo faremo sentire meno solo, forse ci racconterebbe la sua storia spesso drammatica e sarebbe felice di condividerla con qualcuno, ci sentiremo meno soli anche noi. Penso sia l'unico modo per esorcizzare la paura.
Anche loro hanno un legame forte con la terra di origine, ritornerebbero volentieri se ci fossero le condizioni di una vita serena. Per molti decidere di allontanarsi dal luogo dove sono nati, dove avevano gli affetti, rischiando anche la vita, è stato doloroso, ma non avevano altra scelta.
Le normative per ragioni politiche dividono gli immigrati in categorie: richiedenti asilo, rifugiati, e altri che semplicemente partono per togliersi da un destino di povertà e di fame.
Per me sono tutte persone bisognose di aiuto.
Come non vedere i segnali di crisi che ormai da anni mettono a dura prova i modelli che fino ad oggi hanno governato l'economia. Accentramento della ricchezza da un lato, precarietà e impoverimento di interi strati della popolazione sono i due elementi più manifesti che creano profonde ingiustizie e tensioni sociali.
Come sempre le crisi generano incertezze e paure, paura del nuovo, paura del diverso. La cultura generata dalla paura insieme alla mancanza di informazioni corrette non aiuta a gestire le problematiche a cui andiamo incontro.
Suggerirei ogni tanto di mettersi nei panni dell' “altro”, di immaginare cioè di trovarsi nella sua condizione. Fatelo e cercate di trovare dentro di voi l'immagine, la suggestione più profonda, il segno più evidente che vi lega a lui/lei. Non è una questione oziosa, ma un esercizio che può aiutarvi a comprendere, può cambiare il vostro modo di osservare e di percepire le cose. Potreste accorgervi così, che tutte le serie motivazioni che fino a quel momento vi avevano allontanato e reso indisponibile perdono consistenza e lasciano spazio a un valore più profondo che è quello della solidarietà nei confronti del più debole.
Nel merito della gestione, penso che le cooperative complessivamente non abbiano brillato nella loro funzione e vi siano anche stati casi di speculazione. Diciamo che fino ad oggi questa esperienza è abbastanza negativa, ma penso anche che citare questi casi per giustificare il rifiuto all'accoglienza sia deplorevole. Già adesso con i comuni consorziati In.Rete si tende ad un maggiore controllo delle strutture preposte alla gestione. L'Unione Europea, con i suoi cinquecento milioni di abitanti può con politiche adeguate tollerare e integrare qualche milione di profughi distribuendoli equamente. In Italia le persone che muoiono superano le nascite e solo parzialmente l'immigrazione compensa il vuoto demografico. Il tasso di natalità in Germania è tra i più bassi del mondo, l'età media è molto alta e si è calcolato che entro il 2050 avrà tra i dodici ai quattordici milioni di abitanti in meno rispetto ad oggi. I tedeschi con Angela Merkel hanno accolto nel 2015 circa un milione e duecentossessantamila migranti, la cifra più alta in Europa. Questo è il presente, ma credo che con queste dinamiche e in questo contesto sia praticamente impossibile pianificare il futuro. Chi veniva in Italia dieci anni fa poteva ancora pensare di trovare lavoro ma oggi manca anche al 40% dei giovani.
Le nuove tecnologie dipersè non favoriscono nuova occupazione ma tendono a ridurla. Chi fugge da guerre e regimi pericolosi in rispetto delle normative internazionali devono sempre avere il diritto di asilo. L'Italia nega ogni anno la possibilità di rimanere nel nostro paese, come cittadini con diritti e doveri, al 60% dei profughi. Viene respinta la loro richiesta d'asilo perché semplicemente nei criteri di selezione non è contemplata la povertà.
Rispedire i profughi nel loro paese d'origine, come sostiene qualcuno è oggi condannarli a morte. Bisogna accoglierli nel rispetto delle regole e nel contempo lavorare perché nei loro paesi si stabiliscano le condizioni di una vita civile. Sarebbe ipocrita lasciar pensare che i cosiddetti paesi “occidentali” presenti in quelle aree abbiano una funzione umanitaria. La verità è che da sempre in quelle zone del pianeta, ricche di materie prime, i paesi più forti hanno esercitato la loro influenza privando quelle popolazioni delle loro ricchezze. Ripercorriamo un po' la storia, limitandola ad alcune nazioni. L'Inghilaterra, una della quattro nazioni che oggi costituiscono il Regno Unito, con la rivoluzione industriale nel diciottesimo secolo divenne la nazione più industrializzata al mondo. L'esistenza di un impero coloniale consentì agli Inglesi di dominare il commercio internazionale fino al diciannovesimo secolo.
La Francia, un tempo potenza coloniale, ha ancora oggi territori con statuti speciali in campo amministrativo. E' presente nel Sud America (Guyana), nell'oceano Atlantico (Antille), nell'oceano Pacifico (Polinesia), nell'oceano Indiano e in Antartide. Terza potenza nucleare al mondo è uno dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e membro della NATO. Possiede basi militari su tutti i continenti. La Francia, per un terzo del suo fabbisogno, si illumina e prende la sua energia dall'estrazione di uranio nel Niger, dalle tre alla quattro tonnellate all'anno. Un accordo di difesa del 1961 tuttora in vigore le dà questo diritto. La società di Stato francese “Areva” è esentata dal versamento di qualunque forma di imposta. Soltanto il 3% dei nigerini ha accesso all'elettricità e quando non arriva nei pochi ospedali si muore.
Anche l'Italia, forse in misura minore, non è esente da questi fatti. La super tangente incassata da politici e faccendieri versata dall'ENI per lo sfruttamento di un giacimento petrolifero in Nigeria ne è la prova. Sembra che con un impiego legale e giusto i soldi di Eni avrebbero potuto creare ventiduemilaquattrocento posti di lavoro in quella regione.
Ho solo voluto tentare di dare un'idea di quanto sia complessa questa materia e con quanta superficialità e leggerezza spesso si esprime la propria opinione. I governi possono con buone politiche intervenire ad attenuare gli effetti della crisi, ma si deve operare sulle cause che sono all'origine di queste problematiche, servono cambiamenti radicali e coraggiosi. Il colonialismo ha solo cambiato faccia. La sola beneficenza, per quanto utile, tiene i popoli sempre in uno stato di dipendenza. Bisogna evitare il saccheggio sistematico delle risorse e favorire politiche distensive che rendano nel tempo autonome quelle terre.


Ennio Mucelli

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